lunedì 15 marzo 2010

Cagliari Punica

In questo periodo essa, con altre città sarde, può essere considerata un vero e proprio centro urbano in piena fase di espansione territoriale. Sotto la dominazione cartaginese la città si estendeva lungo l'asse est-ovest, seguendo il percorso della costa pianeggiante del colle di Bonaria all'attuale quartiere di S.Avendrace. In quel lungo periodo di tempo fu un importante centro commerciale. 

Nel suo porto giungevano le merci dall'Oriente: da esso ripartivano verso altri porti del Mediterraneo i tipici prodotti dell'economia isolana: cereali, minerali, lana, formaggio e

domenica 14 marzo 2010

La Storia

La storia si fa con i documenti e con le idee, con le fonti e con l'immaginazione..........Jacques Le Goff, storico, 1976.........

La Storia di Cagliari - Le origini

Il nome antico di Cagliari - Karalis, Karales - ha la stessa radice, Kar, che è dato trovare in altri toponimi del bacino del Mediterraneo. Si tratta di un vecchio sostrato, mediterraneo e preindoeuropeo, che significa " roccia " al quale si è aggiunto il suffisso al( ì ) di valore collettivo, anch'esso tipicamente mediterraneo, per cui il nome Karali dovette dunque significare " località rocciosa " o anche " ammasso di rocce ". 

Tale apparì con le sue imponenti colline calcaree dell'attuale Castello e di S. Elia, biancheggianti e rilevabili da qualsiasi punto del golfo degli Angeli, a chi, come i protosardi, veniva dal mare. Le fonti medioevali arrestano la successiva metatesi per cui

La Sartiglia al tempo del Re

Nella lunga "querelle" sulle origini della Sartiglia sono state presentate le ipotesi più disparate che spaziano dal periodo giudicale a quello spagnolo. La soluzione di questo appassionante problema può essere trovata solo con un intelligente, paziente e fortunato lavoro di ricerca d'archivio. Negli archivi ecclesiastici che serbano le memorie più antiche : dall'Archivio Capitolare a quello Arcivescovile, dall'Archivio dei Frati Francescani quello delle Clarisse, fino agli archivi parrocchiali e a quelli delle confraternite; negli archivi privati delle organizzazioni di mestiere presenti ad Oristano nei secoli passati, in particolare nell'Archivio del Gremio dei contadini e in quello del Gremio dei Falegnami, nei quali ebbe origine e fortuna la Sartiglia; negli archivi civili che conservano la testimonianza dall'età spagnola fino ai nostri giorni : l'Archivio di Stato cittadino e l'Archivio Comunale

La mostra dell'Antiquarium Arborense racconta la Sartiglia con gli occhi incantati di tanto tempo fa, quando ci fu la Sartiglia in onore del Re, nel 1829. A quel tempo la giostra del carnevale di Oristano contava almeno tre secoli, benchè ci sia chi

domenica 28 febbraio 2010

A mio padre

Queto blog è in onore di mio padre, che amava l'archeologia, la storia e tutto ciò che riguardava la sua amata isola.............Grazie Pà.........

L'Archivio Storico Comunale di Oristano e la sua Sezione Antica

Il Comune di Oristano possiede uno degli archivi più antichi e prestigiosi della nostra isola: il suo considerevole patrimonio è costituito da antiche pergamene, da registri, volumi e atti sciolti che attestano l'importante passato storico della capitale dell'ex giudicato di Arborea. Da circa vent'anni ormai, grazie alla sensibilità dimostrata dalle amministrazioni che si sono succedute al governo della città, esso è stato interamente censito ed è disponibile per lo studio o per la semplice curiosità dei cittadini, nei locali della casa municipale: Palazzo degli Scolopi. Non si hanno notizie su una istituzione formale dell'archivio civico, ma è certo che la sedimentazione dei documenti inizia nel 1479 data del documento più antico ancora oggi conservato. Dal 1554 appare chiara la volontà degli amministratori cittadini di costruire una Casa de la Ciutat che fu effettivamente eretta nel 1563, dove da quel momento furono svolte le riunioni e conservati gli atti amministrativi all'interno di una cassa lignea provvista di una serratura a tre chiavi tenute in consegna dalle massime cariche cittadine. La costante attenzione e i numerosi interventi promossi durante il novecento dall'amministrazione centrale dello Stato, hanno permesso alla preziosa opera di archivisti, di salvaguardare i " Privilegi ", ovvero gli atti con cui nel 1479 Ferdinando II sanciva l'unione di Oristano alla Corona d' Aragona, i " Libre de Regiment" dove venivano raccolte le prerogative concesse alla città, i  " Libres de Conçelleria " un vero scrigno di infinite notizie di storia, cultura e civiltà, che hanno offerto un contributo importante per lo studio delle origini della Sartiglia, permettendo di retrodatarla sino al 1547. Accanto a questi i " Registri di Baliatico " dove venivano annotate le spese in favore degli orfani della città. Il " Libro dell'Amostassen " nel quale sono riportati i prezzi dei generi alimentari e le regole sui mercati, senza obliare la serie di frammenti di codice pergamenaceo di epoca medievale attualmente in fase di studio. Da quasi cinque anni l'Archivio sperimenta nuove iniziative per raggiungere un pubblico più vasto, attraverso giornate di studio, le periodiche pubblicazioni del Bollettino dell'archivio storico comunale di Oristano, ed inoltre attraverso la recentissima prima edizione del concorso letterario " La tua storia nella storia ". Questo articolo è dedicato con tanto affetto alla sua autrice: Antonella Casula.....Grazie

venerdì 26 febbraio 2010

La Sartiglia attraverso l'Arte e la Storia


La manifestazione storica della Sartiglia è considerata buon diritto una finestra che ogni anno, quasi per incanto, si apre sulla storia della città di Oristano. Le antiche corporazioni di mestiere, il torneo, gli abilissimi cavalieri vestiti con antichi costumi, i possenti cavalli bardati a festa, sono i protagonisti assoluti di questo spettacolo straordinario.  rulli dei tamburi, e gli squilli delle trombe rappresentano per i cittadini di Oristano e per tutti i turisti, sempre più numerosi, provenienti da ogni parte del mondo, la colonna sonora di una festa che rimanda a tempi lontani. Gli oristanesi alla vista del solenne corteo aperto dal Componidori sentono nel cuore un sussulto, un risveglio della loro identità, un forte sentimento di appartenenza ad una storia, lunga e importante, che ogni anno si rinnova. I turisti e i visitatori che arrivano in occasione della Sartiglia respirano quest'aria e la visita ai più importanti monumenti della città può rappresentare un'ulteriore opportunità. Il percorso della Sartiglia insiste sulle strade toriche della città. Al termine della vestizione del Componidori, che in genere si svolge fuori dal centro storico della città, il corteo si dirige verso la strada del Duomo, dove avviene la corsa alla stella. Sino al 1907 i cavalieri attraversavano la Porta a Mare per poter raggiungere la cattedrale, entrando da quella che un tempo costituiva la porta d'accesso alla città murata perchè arrivava da Sud. In quell'nno l'edificio venne abbattuto perchè reputato di scarso valore storico-artistico. Risultava inoltre già in rovina la torre di San Filippo, adiacente al palazzo di residenza dei sovrani medievali, situato in prossimità dell'attuale carcere. Proprio dallo spazio antistante il carcere, prende il via la corsa del cavaliere che tenta di cogliere la stella, retta dal nastro verde teso sotto il campanile trecentesco della cattedrale dell'Arcidiocesi Arborense. All'interno della cattedrale, dedicata all'Assunta, numerose cappelle e splendide statue testimoniano le diverse fasi storiche dell'importante edificio che rimanda le sue più lontane origini all'età bizantina. La cappella della Madonna del Rimedio, con la statua della Madonna in pietra policroma nell'antica cappella gotica, la trecentesca statuta dell'Annunziata scolpita da Nino Pisano, la capella del martide Archelao patrono della città e quella del gremio dei falegnami, realizzata in stile barocco con decori in oro zecchino, sono solo alcuni dei preziosi gioielli di questo monumento religioso tra i più solenni dell'isola. Insistono su percorso della corsa alla stella anche la chiesa ed il convento di San Francesco, situati proprio nella curva che i cavalieri affrontano con velocità ed ardimento.La chiesa, di origine duecentesca, si presenta oggi in stile neoclassico e custodisce gelosamente il crocifisso detto di Nicodemo. L'opera lignea, ascrivibile al tipo tragico doloroso del Cristo sofferente in croce, d'ispirazione renana, è attribuito a maestranze valenzane del XIV secolo, ed è presente in Oristano d'antica data rappresentando uno dei monumenti più importanti della religiosità e della cultura non solo sarda. La galoppata dei cavalieri che hanno tentato di infilare la stella termina nel piazzale antistante la chiesa di San Mauro, dopo aver superato la chiesa di Sant'Antonio, cappella di un antico ospedale medievale cittadino, e la chiesetta dello spirito santo di origine bizantina. Successivamente il corteo dei cavalieri, diretto verso la strada delle pariglie, si immette nella piazza Eleonora. La piazza è dominata dalla statua realizzata alla fine dell'Ottocento dall'artista Ulisse Cambi in onore di Eleonora d'Arborea.  regina reggente del Regno medievale d'Arborea vive nell'ultimo scorcio del Trecento e il suo nome è legato alla promulgazione di un'aggioramento della Carta Delogu. Il codice di leggi alla base del diritto del regno. Sulla piazza si affacciano il palazzo degli scolopi, un tempo convento, oggi sede degli uffici dell'amministrazione comunale e il palazzo Campus Colonna, del XVIII secolo, sede dell'ufficio del sindaco della città e di altri amministratori. Il corso Umberto, comunemente chiamato "via Dritta", unisce la piazza Eleonora con la piazza Roma, altro cuore pulsante della città. Sulla via Dritta si affaccia il palazzo Arcais, oggi sede di rappresentanza e di alcuni uffici dell'amministrazione provinciale di Oristano, eretto nella seconda metà del XVIII secolo dal novile Don Damiano Nurra Conca, marchese de Arcais, il quale volle edificare e donare all'ordine dei carmelitani un convento, oggi sede di alcuni corsi universitari, e una chiesa eretta in perfetto stile barocco piemontese. Sulla piazza Roma trionfa la possente torre eretta nel Duecento da Mariano II d'Arborea. Il sovrano arborense sul fine del XIII secolo volle potenziare il sistema di difesa di questa capitale medievale fa costruire il muro di cinta della città fortificato con ventotto torri, dotando la citta di tre ingressi principali. La torre di Mariano, detta anche di San Cristoforo o Portamanna, costituiva l'ingresso principale della città perchè arrivava da Nord. La torre, costruita in blocchi di arenaria misura ventotto metri e custodisce nel sopralzo una campana in bronzo del XVIII secolo, raro esempio di campana ad uso civico.  questo modo il corteo fuoriesce dalla linea immaginaria del percorso della città murata per trasferirsi lungo la strada che correva di fianco alle antiche mura cittadine.La via Mazzini inizia sul sagrati della chiesa di San Sebastiano, di origini seicentesche, e si sviluppa lungo il fossato che anticamente correva intorno al circuito difensivo. Sulla strada del percorso delle evoluzioni si affaccia la torre di Portixedda. La cosiddetta "piccola porta", visibile all'interno rappresenta una delle torre del citato sistema di difesa della città, e così come si presenta oggi è frutto di un'intervento subito nei secoli della dominazione spagnola dell'isola. Particolarmente interessante risulta la visita dell'Antiquarium Arborense il museo archeologico della città. Le diverse esposizioni temporanee e permanenti trovano sistemazione in un'elegante palazzo che custodisce preziose collezioni archeologiche. Sono inoltre presenti due straordinarie ricostruzioni  tridimensionali, quella della città di Tharros riconducibile all'epoca romana e quella di Oristano, capitale del Regno d'Arborea cinta delle mura e delle torri con tutti i monumenti riferibili all'età medievale. La presenza di preziosi retabli del XV e del XVI secolo, riconducibili a maestranze catalane e ai più noti artisti sardi del tempo, arricchiscono ulteriormente questo importante scrigno e di storia della città.

venerdì 12 febbraio 2010

Sa gentarrubia

La gente rossa, strepita nella laguna.

Presso l'isola del falasco è un gorgogliare di becchi nella fanghiglia,un torcersi di colli  lunghi  flessuosi in teneri avvolgimenti.Specchiati nell'azzurro frantumati in miriadi di forme rosacee, in diamanti di gocce che cadono, scompaiono fra i trampoli rossi rigidi, essenziali come steli di giunchi, virgulti senza spine. 


Danza di piume, musica senza note ritmata da sighiozzi, da stridi, da gemiti, da sibili e ansiti tra sponde verdi di frumento.I colli si flettono ora in note di musica, bianchecontro la laguna di madreperla.
Musica di danza su trampoli rossi sotto un tremolio
di

giovedì 11 febbraio 2010

Santa Maria Iscalas. Dal neolitico ai giorni nostri. Cossoine. Dall'antico al moderno

Il paese fu probabilmente fondato nel primo Medioevo da una tribù corsa proveniente dalle coste nord-orientali della Sardegna,come testimonia l'appellativo di ''Corsein '' presente nelle carte geografiche più antiche e l'alta frequenza del cognome Unali ( da '' Gunale'',toponimo storico di una curatoria del Giudicato di Gallura ).


Nel suo territorio non mancano testimonianze del passaggio precedente di altri popoli,tra cui Romani con '' Lucentia'' o '' Castrum Lucentium '' (oggi ''Lughentinas '') e i Bizantini con l insegnamento di ''Kourin'',la chiesa di Santa Maria Iscalas.Recenti indagini archeologiche hanno dimostrato che il territorio di Cossoine era abitato fin

sabato 30 gennaio 2010

Castello di San Michele 1327 ca- Giudicato di Cagliari, Cagliari

                                                     Il castello venne eretto sul colle di San Michele dove,secondo la                                     tradizione,sorgeva un convento di certosini. In realtà la notizia non è documentata ed è probabile che in origine fossero monaci bizantini a stabilirsi sul luogo, come potrebbe indicare il nome dato al colle e a  una chiesetta, dedicati all'arcangelo Michele. La chiesetta (prima metà            del XII secolo) venne integrata nel castello; rimane la facciata divisa in due da una lesena che separa          due portali con architrave in granito, sormontato da arco a tutto sesto. Nella lunetta del portale destro si apre un oculo. L'interno doveva essere in due navate divise da colonne. Nel 1325 l'infante d'Aragona Alfonso III il Benigno, che aveva iniziato nel 1323 la conquista della Sardegna, assegnava il colle al nobile Berengario Carros. Secondo le indicazioni dell'infante, l'area del castello doveva occupare anche lo spazio della chiesa e delle casupole che stavano intorno. Berengario Carros spogliò numerosi marmi e decorazioni della chiesa di San Saturnino per ornare i suoi palazzi e forse anche il castello. La cinta è approssimativamente quadrata con basamento fortemente inclinato in conci in bugnato. Per prima venne eretta la torre nord-est, simile nella struttura muraria alle torri pisane di Cagliari, i conci sono in calcare regolarmente tagliati. La torre sud-est con muratura in pietrame irregolare, rivestito a tratti in conci. Ambedue hanno feritoie aperte all'esterno, in difesa della porta d'ingresso, situata nella cortina che unisce le torri e sopra la quale sono due stemmi: uno dei Carros, l'altro emblema medievale della città di Cagliari, un castello a tre torri: dell'Elefante,dell'Aquila e di San Pancrazio. Successivamente fu costruita la torre rettangolare di sud-ovest, più alta rispetto alle altre e in pietrame misto, venne eretta dagli Aragonesi. L'accesso al castello aveva un sistema di tre chiusure: il ponte levatoio sul fossato scavato attorno all'antemurale, porta a due battenti a saracinesca. Nel cortile interno una scala portava ai piani superiori dove erano situate le camere dei nobili proprietari, che nel corso del 1400 furono dotate di ampie finestre; nel piano terra c'era una grande sala, le cucine, la stalla a ambienti di servizio.  una carta geografica del cagliaritano, disegnata nel 1577 dall'architetto Giorgio Paleario Fratino, il castello è raffigurato con una quarta torre e senza fossato. Nel 1652, durante l'epidemia di peste venne utilizzato come lazzaretto e subì diverse modifiche.  Gli spagnoli abbandonarono la Sardegna, che passò nel 1720 all'Austria e poi al Piemonte, al castello si portarono riparazioni, ma sostanzialmente cominciò a decadere fino a diventare un rudere. Nel 1820 divenne una caserma per soldati invalidi. Nel 1895 passò di proprietà al marchese Roberto di San Tommaso che lo fece restaurare da Dionigi Scano. Venne poi dichiarato monumento nazionale a partire dal 1988 ristrutturato. 

lunedì 25 gennaio 2010

San Saturnino di Calaris V-VI sec. d.C 1089-1119 Giudicato di Cagliari, Cagliari (CA)

                        



La basilica venne eretta nel luogo dove si estendeva la necropoli paleocristiana del colle di Bonaria, sulla tomba del martire cagliaritano Saturnino, nominato nel più antico documento in lingua sardo-campidanese, scritto in caratteri greci entro la metà del 1089. La chiesa viene citata per la prima volta nella Vita di Fulgenzio vescovo di Ruspe in Africa, scritta nel 533-534 dal diacono Ferrando. Fulgenzio fu esiliato in Sardegna, assieme ad altri vescovi, dal re vandalo Trasamondo; si fermò a Cagliari dal  al 515 e poi dal 519 fino al suo rientro in patria nel 523. Fondò il nuovo monastero che fu un attivo centro di cultura. Nello scriptorium venne redatto il manoscritto cosidetto di Sant'Ilario basilicano databile al 507-510, oggi conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Sulla originaria forma della chiesa esistono diverse opinioni tra gli studiosi; la più seguita ritiene che verso la metà del V secolo d.C venisse costruite a forma di croce, con bracci mononavati, sul modello del santuario di San Babila ad Antiochia (379 d.C). Il corpo centrale quadrato posto all'incrocio della navata col transetto, costituito da quattro massicci pilastri con colonne in marmo rosso, era coperto da cupola, la navata est terminava con abside quadrata. Dell'edificio rimane la parte centrale e il braccio est. Nei primi decenni del VI secolo, forse per iniziativa del vescovo Fulgenzio, si progettò di dividere tutti i bracci della croce in tre navate. I lavori di costruzione furono ripresi soltando quando nel 1089 il giudice di Cagliari Costantino-Salusio II de Lacon Gunale donò il monastero ai monaci dell'abbazia di San Vittore di Marsiglia in Francia. La donazione comprendeva altre sotto chiese, tra cui le principali sedi di culto dei martri nel giudicato di Cagliari, meta di importanti pellegrinaggi; il Sant'Antioco di Sulcis e il Sant'Efisio di NoraNel 1119 la chiesa fu riconsacrata, il monastero divenne la sede del priorato in Sardegna. Le maestranze provenzali che portarono a termine la costruzione in forme romaniche, introdussero nuovi elementi costruttivi e ornamentali, utilizzarono la pietra calcare di Bonaria e molti materiali (capitelli, colonne, decorazioni) di edifici di epoca tardoromana. Venne mantenuto il corpo cupolato e ricostruiti i quattro bracci della croce, a quello rivolto a est  venne aggiunta l'abside semicircolare che internamente è decorata da una fascia di trachide scura. La navata centrale ha volta a botte attraversata da archi doubleaux, le navatelle laterali, a tre navate divise da colonne, hanno volte a crociera. I muri esterni sono coronati da archetti pensili a tutti sesto su mensole scalettate. Oculi permettono alla luce di rischiarare l'interno della chiesa. Nel muro interno del braccio ovest è scolpita a bassorilievo una croce greca e sotto due attrezzi da lavoro dei costruttori: la punta e lo scalpello piatto. La facciata è stata in gran parte ricostruita, ma doveva anche in origine essere divisa in tre portali come quella dell'abbazia di San Vittore a Marsiglia. La parte alta della cupola venne ricostruita: il raccordo tra la cupola e il corpo quadrato alla base è costituito da scuffie a mezza voltina a crociera con mensole di marmo bianco a foglie d'acanto, recuperate dalla chiesa del VI secolo, altre invece vennero scolpite con croci, grappoli d'uva. figure di cavalieri.Tomba del santo, nel Santuario dei Martiri Nella cupola si impiegarono gli stessi materiali presenti nell'abside; la pietra di Bonaria e la trachite scura, adoperata per l'iscrizione in lingua latina alla base della volta. Intervallata da piccole croci greche, uguali a quella scolpita insieme agli attrezzi da lavoro degli scalpellini, l'iscrizione dice: PERFICE USD(EU)S QUI INCOASTI QUE IN FINE(M), che possiamo tradurre: OH SIGNORE TU CHE HAI COMINCIATO PORTA A TERMINE FINO ALLA FINE. Si è pensato che l'iscrizione potesse riferirsi all'interruzione dei lavori di costruzione della chiesa, dovn Africa. Due scrittori del 1600, padre Jorge Aleo e Dionigi Bonfant accennano nelle loro opere alla cupola. L'Aleo dice che l'iscrizione era a mosaico, il Bonfant che vi era raffigurato il Cristo Benedicente. Nel Medioevo la forma quadrata alludeva alla terra, la forma circolare delle cupole e delle absidi alludeva al cielo e per questo vi veniva raffigurato, in mosaico o dipinto, il Cristo Pantocratore, cioè onnipotente, creatore del cielo e della terra, l'inizio e la fine di ogni cosa, colui che porta a compimento ciò che ha iniziato. L'immagine del Cristo Pantocratore si legava, quindi, bene alle parole dell'iscrizione, non solo perchè la cupola concludeva la cotruzione ma perchè rappresentava il cielo che innalzava la terra , cioè il quadrato alla base della cupola. La basilica fu gravemente danneggiata durante la guerra tra i Pisani e gli Aragonesi, che si concluse con la resa dei Pisani nel 1324. Nel 1363 il re Pietro IV d'Aragona diede il santuario all'ordine dei Cavalieri di San Giorgio da Alfama, i quali però non ne presero mai possesso. Il monastero venne lasciato rovinare, mentre la chiesa fu riparata attorno al 1484. Tra il 1614 e il 1622 vennero effettuate dall'arcivescovo Francisco Desquivel, scavi archeologici in tutta l'area, nella ricerca dei corpi di santi martiri, le cui reliquie vennero trasferite nella cattedrale di Cagliari. 

San Saturnino di Calaris

domenica 10 gennaio 2010

Chiesa e monastero nella storia e nell'arte : Santa Chiara

Il monastero di Santa Chiara in Oristano secondo alcuni storici è il piu antico monastero di Clarisse sorto in Sardegna e risalirebbe a circa dieci anni dopo la morte di Santa Chiara. Cio non è certo in quanto non ci sono documenti. Sicura è e invece la data di ''rifondazione'' : 22 settembre 1343,come si rileva dalla lettera apostolica inviata al papa Clemente VI e al giudice Pietro III.

Il monastero gia nel 1345, era abitato da 13 suore provenienti in parte da Pisa. I nomi delle suore compaiono in lettere papali del 1371 e del 1373, ma anche in atto pubblico del giudice Mariano IV del 1368.

Il giudcice Pietro III, che donò vita a questo monastero, mori nel 1347, e sua moglie donna Costanza, figlia di Filippo Aleramici, marchese di Saluzzo, si ritirò in monastero trascorrendo qui gli ultimi mesi della sua vita.


Una lapide ritrovata nel secolo scorso, scritta in caratteri gotici ci ha lasciato la data della sua morte, 18 Febbraio 1348 : ''hic iacet egregia domina Constancia de Saluciis olim Iudicissa arboree quae obiit die CVIII mensis februarii anno domini milleccc quadragesimo octavo''.
Di donna Costanza di Saluzzo resta pure il testamento col quale donò al monastero di Santa Chiara la villa di Molins de Rey, in Catalogna.

Probabilmente i quattro peducci pensili dell'abside della chiesa di Santa Chiara raffigurano i 4 munifici giudici fondatori del monastero : vi è probabilmente raffigurato Mariano II al quale si deve anche la costruzione delle mura della città e della torre di San Cristoforo ( o di Mariano ) e che regnò nel periodo al quale si attribuisce la prima fondazione del monastero. Mariano IV completò l'opera di rifondazione del monastero.


Quest ultimo pare raffigurato nei resti di un affresco nell atto di affidare il figlio Ugone a Santa Chiara ( della Santa nell affresco si intravedono soltanto un lembo del mantello e della tonaca e un piede col sandalo) . Della chiesa originaria anche se la copertura è stata completamente modificata, resta notizia che il tetto in capriate era tutto decorato : alcune tavole erano dipinte con scene campestri, altre con fatti storici, in una si vedeva rappresentata l'incoronazione di un giudice, in un altra un personaggio con cappuccio facente elemosina.

Sono rimaste alcune mensole con figure zoomorfe vivacemente colorate ed alcune travi anch esse dipinte con diversi stemmi dei giudici di Arborea. Preziosi cimeli del monastero sono 3 sigilli pervenuti sino a noi : il più antico, risale al secolo XIV, è di forma ogivale e raffigura Santa Chiara in abito francescano con saio, velo-soggolo, il cordone al fianco sinistro, con la destra regge una lunga palma e con la sinistra il libro della Regola. Sotto l'edicola lo stemma,con a destra l'albero diradicato di Arborea e a sinistra i pali di Aragona, nella fascetta è scritto : ''Sigillum Abatissa Minorissar Aritagni'', nel retro la costola centrale ha un foro per infilarvi un cordone (consentiva alla badessa di potarlo appesa al collo, simbolo dell'autorità e del comando nel monastero ) .


Il secondo sigillo, di forma ovale, contiene al centro Santa Chiara, sotto lo stemma giudicale e nella fascetta estrema la scritta '' Sigillum Abatissa Minoris Aristagni''. Il terzo sigillo, non meno prezioso, detto dalle suore ''del giudice Mariano'', è in argento, a forma di scudo, con sopra la corona regale, la scritta : "Sigillum S Clarae Arboren'' incornicia lo stemma giudicale con l'albero diradicato a destra e i pali d'Aragona a sinistra, stemma quetso riprodotto nelle travi di copertura della chiesa.

Preziosi cimeli sono anche l'antica campana del coro, una cassetta trecentesca con 5 serrature, destinata a contenere i documenti piu importanti del monastero. La chiesa, che già aveva subito demolizioni per                l'ampliamento del coro superiore nel 1850-53, ebbe un altro colpo nel 1923 quando la pianta, in origine ad aula rettangolare, venne fiancheggiata da cappelle e, la copertura lignea ,come detto ricca di ornamenti e colori, venne sostituita con la copertura falso-gotica.


Demolito l'antico altare ligneo nel 1928, il 21 Aprile 1929 viene consacrato un nuovo altare in marmo. Nel 1958 i resti delle figlie di Santa Chiara, che dentro il monastero in santita vissero e morirono dal 1343 al 1863, pietosamente raccolti durante la pavimentazione del chiostro, vengono tumulati accanto alla cappella interna (coretto) ed una lapide ne ricorda l'evento. L'ultimo restauro nel 1984 ha riportato alla luce all interno del nostro monastero una bellissima bifora, murata in precedenti interventi, ha anche salvato e recuperato vari ambienti  che pur presentando una povera e austera nudità rilevano le eleganti forme del passato.

Recenti scavi effettuati, oltre a restituire resti di ceramiche di vari periodi, hanno permesso il rinvenimento di alcune monete a partire dal periodo nuragico-punico, e di tracce di fondazioni e muri. All interno del monastero si è recuperata la ruota del 300. La ''Ruota'' è il diaframma che separa la clausura     dall'esterno, dietro la quale una suora, la rotara, riceve ogni giorno la carità dei beneffatori, richieste di preghiera, offerte per Sante Messe, le loro confidenze, e richieste di consigli che ricambia con la carità dell ascolto, il dono di un immagine, il ricordo nella preghiera.